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Medicina e sport

Gerona 2005

Nelle persone adulte oltre i 65 anni le principali cause di morte sono rappresentate dalle malattie cardiovascolari, dai tumori e dal diabete. Tra gli strumenti di prevenzione (e di cura in alcuni casi) oltre ad una corretta e sana alimentazione è ritenuta indispensabile la pratica regolare di un'attività fisico-sportiva. Le linee guida più accreditate ed autorevoli in materia hanno sempre dato grande importanza alla pratica di attività di tipo aerobico come la camminata veloce, la corsa, il ciclismo. Attualmente vi è forte evidenza supportata da dati che l'attività di potenziamento muscolare (resistance training per gli anglosassoni) offra oltre ai benefici dell'attività aerobica maggiori vantaggi per quel che riguarda il mantenimento dell'efficienza e della mobilità fisica. In allegato interessante review sull'argomento. Buona lettura a tutti!
Tra i 3 macronutrienti principali (carboidrati, proteine e grassi) le proteine sono da tempo oggetto di numerosi studi e sperimentazioni in quanto il loro ruolo è fondamentale nell'omeostasi generale dell'organismo. In letteratura non vi è consenso unanime sulle quantità di proteine da introdurre per singolo pasto allo scopo di favorire la risposta anabolica nei processi di costruzione muscolare. L'articolo in allegato riassume le evidenze attuali fornendo delle utili linee guida che nel loro complesso richiamano le indicazioni che la dieta a Zona promuove da oltre 20 anni. Buona lettura
L'utilizzo di supplementi nutrizionali è una pratica molto diffusa tra gli sportivi, soprattutto di elite al fine di aumentare le capacità prestative e/o ottimizzare i tempi di recupero. Nonostante le incalzanti pressioni ed indicazioni da parte delle case produttrici, per molte delle sostanze raccomandate non esistono attualmente studi mirati ed ineccepibili sulla loro utilità ed in alcuni casi sicurezza. L'allegato contiene il documento di consenso del Comitato Olimpico Internazionale in merito a tale argomento. Buona lettura!
Negli ultimi tempi la supplementazione con vitamina D è diventata una pratica abbastanza comune negli sportivi per il ruolo che essa ha non solo nel mantenere in buona salute le ossa, ma in quanto modulatore positivo del sistema immunitario e dell'attività muscolare. L'integrazione di vitamina D non dovrebbe prescindere da una valutazione a priori di eventuali carenze dovute a ridotta esposizione solare attraverso un dosaggio ematico dei suoi principali metaboliti. Nell'articolo in allegato si fa il punto sullo stato dell'arte riguardo la supplementazione con vitamina D. Buona lettura!
Dell'intimo rapporto tra SNC ed intestino si è già scritto e detto molto. L'articolo allegato fa con chiarezza il punto della situazione circa il ruolo dell'intestino nei disturbi del tono dell'umore e viceversa con la partecipazione attiva del microbiota intestinale. Buona lettura.
Negli anni passati il consumo di uova intere è sempre stata considerata una scelta alimentare da limitare per il contenuto elevato in colesterolo e grassi saturi soprattutto in presenza di dislipidemie o alterazioni del metabolismo glucidico (pre-diabete o diabete di tipo 2). Confermata da studi recenti la non correlazione tra malattie cardiovascolari e grassi saturi adesso tocca al colesterolo essere assolto dal suo ruolo di killer della salute. Quando si parla di colesterolo alimentare non si può non parlare di uova che di quest'ultimo ne contengono una buona quantità. Nelle uova tuttavia sono presenti altre sostanze, la lecitina in primis, che controbilanciano l'effetto del colesterolo e fanno si che non vi sia un effettivo rischio di aumento del colesterolo ematico e del rischio cardiovascolare. Ad onor del vero nella Zona si suggerisce di limitare le uova o meglio il tuorlo per la presenza di acido arachidonico dal quale originano gli eicosanoidi cosidetti "cattivi". E' tuttavia ragionevole pensare che in presenza di una ridotta assunzione di acidi grassi Omega 6 (oli vegetali) e di una alimentazione a moderato carico glicemico sia possibile e salutare consumare anche con maggiore frequenza un alimento dalle qualità nutrizionali insuperabili.
In allegato un recente studio a proposito. Buona lettura.


Am J Clin Nutr. 2018 May 7. doi: 10.1093/ajcn/nqy048. [Epub ahead of print]
Effect of a high-egg diet on cardiometabolic risk factors in people with type 2 diabetes: the Diabetes and Egg (DIABEGG) Study-randomized weight-loss and follow-up phase.
Fuller NR1, Sainsbury A1, Caterson ID1,2, Denyer G1,3, Fong M1, Gerofi J1, Leung C1, Lau NS1, Williams KH1, Januszewski AS4, Jenkins AJ4, Markovic TP1,2.
Author information
Abstract
Background:

Some country guidelines recommend that people with type 2 diabetes (T2D) limit their consumption of eggs and cholesterol. Our previously published 3-mo weight-maintenance study showed that a high-egg (≥12 eggs/wk) diet compared with a low-egg diet (<2 eggs/wk) did not have adverse effects on cardiometabolic risk factors in adults with T2D.
Objective:

The current study follows the previously published 3-mo weight-maintenance study and assessed the effects of the high-egg compared with the low-egg diets as part of a 3-mo weight-loss period, followed by a 6-mo follow-up period for a total duration of 12 mo.
Design:

Participants with prediabetes or T2D (n = 128) were prescribed a 3-mo daily energy restriction of 2.1 MJ and a macronutrient-matched diet and instructed on specific types and quantities of foods to be consumed, with an emphasis on replacing saturated fats with monounsaturated and polyunsaturated fats. Participants were followed up at the 9- and 12-mo visits.
Results:

From 3 to 12 mo the weight loss was similar (high-egg compared with low-egg diets: -3.1 ± 6.3 compared with -3.1 ± 5.2 kg; P = 0.48). There were no differences between groups in glycemia (plasma glucose, glycated hemoglobin, 1,5-anhydroglucitol), traditional serum lipids, markers of inflammation [high-sensitivity C-reactive protein, interleukin 6, soluble E-selectin (sE-Selectin)], oxidative stress (F2-isoprostanes), or adiponectin from 3 to 12 mo or from 0 to 12 mo.
Conclusions:

People with prediabetes or T2D who consumed a 3-mo high-egg weight-loss diet with a 6-mo follow-up exhibited no adverse changes in cardiometabolic markers compared with those who consumed a low-egg weight-loss diet. A healthy diet based on population guidelines and including more eggs than currently recommended by some countries may be safely consumed. This trial is registered at http://www.anzctr.org.au/ as ACTRN12612001266853.
Numerosi studi hanno confermato l'importanza di possedere un efficiente microbiota intestinale per stare in salute e per prevenire l'insorgenza di numerose patologie dismetaboliche e non solo. E' stato dimostrato che anche un solo pasto è in grado di alterare la composizione delle varie popolazioni di batteri presenti all'interno del canale digerente. Nello studio in allegato (in inglese) è stata valutata la risposta del microbiota a un intervento dietetico a breve termine (2 settimane) attraverso l'analisi dei campioni di feci di 248 volontari raccolti prima e dopo un intervento dietetico personalizzato di 2 settimane.
E' emerso che ad un maggiore apporto di frutta e verdura corrispondono aumentati livelli di batteri che producono butirrato (vero nutrimento per le cellule intestinali) e ad una maggiore ricchezza della comunità.
Si tratta di un ulteriore dimostrazione scientifica dell'importanza di utilizzare nell'alimentazione quotidiana fonti di carboidrati che oltre a possedere un basso carico glicemico ed una ricchezza di vitamine, minerali e polifenoli sono in grado di giovare al benessere intestinale e dei loro silenziosi abitanti.
Buona lettura a tutti!
In corso di attività sportiva il rialzo della temperatura corporea è funzionale alla resa ottimale dei processi metabolici dell'organismo connessi alla prestazione. Secondo i 2 studi presentati in allegato a livello intestinale l'aumento prolungato della temperatura può alterare nel tempo l'integrità della mucosa aumentandone la permeabilità ed il conseguente passaggio in circolo di tossine e sostanze presenti nel lume. E' tuttavia possibile ridurre lo stress ed il danno intestinale attraverso l'integrazione durante sforzo con miscele a base di carboidrati e proteine.
Buona lettura.

Eur J Appl Physiol. 2018 Feb;118(2):389-400. doi: 10.1007/s00421-017-3781-z. Epub 2017 Dec 12.
The impact of exertional-heat stress on gastrointestinal integrity, gastrointestinal symptoms, systemic endotoxin and cytokine profile.
Snipe RMJ1, Khoo A1, Kitic CM2, Gibson PR3, Costa RJS4.
Abstract
PURPOSE:
The study aimed to determine the effects of exertional-heat stress on gastrointestinal integrity, symptoms, systemic endotoxin and inflammatory responses; and assess the relationship between changes in body temperature and gastrointestinal perturbations.
METHODS:
Ten endurance runners completed 2 h running at 60% [Formula: see text]O2max in hot (HOT: 35 °C) and temperate (TEMP: 22 °C)-ambient conditions. Rectal temperature (T re) and gastrointestinal symptoms were recorded every 10 min during exercise. Blood samples were collected pre- and post-exercise, and during recovery to determine plasma intestinal fatty acid binding protein (I-FABP), cortisol, bacterial endotoxin and cytokine profile. Calprotectin was determined from pre- and post-exercise faecal samples. Urinary lactulose:L-rhamnose ratio was used to measure intestinal permeability.
RESULTS:
Compared with TEMP, HOT significantly increased T re (1.4 ± 0.5 vs 2.4 ± 0.8 °C, p < 0.001), cortisol (26 vs 82%, p < 0.001), I-FABP (127 vs 432%, p < 0.001), incidence (70 vs 90%) and severity (58 counts vs 720 counts, p = 0.008) of total gastrointestinal symptoms. Faecal calprotectin and circulating endotoxin increased post-exercise in both trials (mean increase 1.5 ± 2.5 µg/g, p = 0.032, and 6.9 ± 10.3 pg/ml, p = 0.047, respectively), while anti-endotoxin antibodies increased 28% post-exercise in TEMP and decreased 21% in HOT (p = 0.027). However, intestinal permeability did not differ between trials (p = 0.185). Inflammatory cytokines were greater on HOT compared to TEMP (p < 0.05). Increases in T re were positively associated with I-FABP, IL-10, cortisol, nausea and urge to regurgitate (p < 0.05).
CONCLUSIONS:
Exertional-heat stress induces a thermoregulatory strain that subsequently injures the intestinal epithelium, reduces endotoxin clearance capacity, promotes greater cytokinaemia, and development of gastrointestinal symptoms.

Appl Physiol Nutr Metab. 2017 Dec;42(12):1283-1292. doi: 10.1139/apnm-2017-0361. Epub 2017 Aug 4.
Carbohydrate and protein intake during exertional heat stress ameliorates intestinal epithelial injury and small intestine permeability.
Snipe RMJ1, Khoo A1, Kitic CM2, Gibson PR3, Costa RJS1.
Abstract
Exertional heat stress (EHS) disturbs the integrity of the gastrointestinal tract leading to endotoxaemia and cytokinaemia, which have symptomatic and health implications. This study aimed to determine the effects of carbohydrate and protein intake during EHS on gastrointestinal integrity, symptoms, and systemic responses. Eleven (male, n = 6; female, n = 5) endurance runners completed 2 h of running at 60% maximal oxygen uptake in 35 °C ambient temperature on 3 occasions in randomised order, consuming water (WATER), 15 g glucose (GLUC), or energy-matched whey protein hydrolysate (WPH) before and every 20 min during EHS. Rectal temperature and gastrointestinal symptoms were recorded every 10 min during EHS. Blood was collected pre- and post-EHS, and during recovery to determine plasma concentrations of intestinal fatty-acid binding protein (I-FABP) as a marker of intestinal epithelial injury, cortisol, endotoxin, and inflammatory cytokines. Urinary lactulose/l-rhamnose ratio was used to measure small intestine permeability. Compared with WATER, GLUC, and WPH ameliorated EHS associated intestinal epithelial injury (I-FABP: 897 ± 478 pg•mL-1 vs. 123 ± 197 pg•mL-1 and 82 ± 156 pg•mL-1, respectively, p < 0.001) and small intestine permeability (lactulose/l-rhamnose ratio: 0.034 ± 0.014 vs. 0.017 ± 0.005 and 0.008 ± 0.002, respectively, p = 0.001). Endotoxaemia was observed post-EHS in all trials (10.2 pg•mL-1, p = 0.001). Post-EHS anti-endotoxin antibodies were higher (p < 0.01) and cortisol and interleukin-6 lower (p < 0.05) on GLUC than WATER only. Total and upper gastrointestinal symptoms were greater on WPH, compared with GLUC and WATER (p < 0.05), in response to EHS. In conclusion, carbohydrate and protein intake during EHS ameliorates intestinal injury and permeability. Carbohydrate also supports endotoxin clearance and reduces stress markers, while protein appears to increase gastrointestinal symptoms, suggesting that carbohydrate is a more appropriate option.



L'importanza di assumere un corretto quantitativo di proteine nella dieta è un dato confermato da numerosi studi scientifici. Non a caso il termine proteina deriva dal greco proteios che significa "che occupa il primo posto". Le proteine svolgono numerose funzioni nel nostro organismo essenzialmente di tipo anabolico ovvero vengono utilizzate per la costruzione di tessuti, enzimi, ormoni etc...
Assumere il giusto quantitativo di proteine ad ogni pasto permette inoltre di modulare l'assorbimento degli altri macronutrieneti della dieta, in particolare i carboidrati, regolarizzando i picchi glicemici ed ormonali (insulina) ad essi correlati con beneficio sulla prevenzione di molte patologie di tipo dismetabolico. Di seguito viene riportato l'abstract di un recente studio giapponese in cui l'inserimento di un maggior quantitativo di proteine ai pasti, a scapito di carboidrati soprattutto raffinati, ha portato ad una riduzione degli accidenti cerebrovascolari sia di tipo emorragico che ischemico.
E' da stabilire se gli effetti positivi riscontrati siano dovuti alle maggiori proteine oppure alla riduzione del carico glicemico o ad entrambi, ma comunque sia in questo studio possiamo ritrovare le linee guida che da oltre 20 anni vengono raccomandate dallo stile di vita a Zona.
Buona lettura!

Stroke. 2017 Jun;48(6):1478-1486. doi: 10.1161/STROKEAHA.116.016059. Epub 2017 May 9.
Dietary Protein Intake and Stroke Risk in a General Japanese Population: The Hisayama Study.
Ozawa M1, Yoshida D1, Hata J1, Ohara T1, Mukai N1, Shibata M1, Uchida K1, Nagata M1, Kitazono T1, Kiyohara Y1, Ninomiya T2.
Author information
Abstract
BACKGROUND AND PURPOSE:
The influence of dietary protein intake on stroke risk is an area of interest. We investigated the association between dietary protein intake and stroke risk in Japanese, considering sources of protein.
METHODS:
A total of 2400 subjects aged 40 to 79 years were followed up for 19 years. Dietary protein intake was estimated using a 70-item semiquantitative food frequency questionnaire. The risk estimates for incident stroke and its subtypes were calculated using a Cox proportional hazards model.
RESULTS:
During the follow-up, 254 participants experienced stroke events; of these, 172 had ischemic stroke, and 58 had intracerebral hemorrhage. Higher total protein intake was significantly associated with lower risks of stroke and intracerebral hemorrhage (both P for trend <0.05). With regard to sources of protein, the risks of total stroke and ischemic stroke significantly decreased by 40% (95% confidence interval, 12%-59%) and 40% (5%-62%), respectively, in subjects with the highest quartile of vegetable protein intake compared with those with the lowest one. In contrast, subjects with the highest quartile of animal protein intake had a 53% (4%-77%) lower risk of intracerebral hemorrhage. Vegetable protein intake was positively correlated with intakes of soybean products, vegetable, and algae, whereas animal protein intake was positively correlated with intakes of fish, meat, eggs, and milk/dairy products. Both types of protein intakes were negatively correlated with intakes of rice and alcohol.
CONCLUSIONS:
Our findings suggest that higher dietary protein intake is associated with a reduced risk of stroke in the general Japanese population.
© 2017 American Heart Association, Inc.

L'attività aerobica è indiscutibilmente un ottimo ed efficiente sistema per tenere sotto controllo i livelli di zucchero nel sangue e tutti gli altri parametri ematochimici (trigliceridi, colesterolo etc...) e non che concorrono a determinare il quadro della sindrome metabolica. Negli ultimi tempi tuttavia diversi studi hanno evidenziato che possedere valori ottimali di massa magra - leggi muscoli - permette di ottenere migliori risultati rispetto alla sola attività aerobica soprattutto in termini di impegno settimanale laddove per ottenere risultati sarebbe sufficiente meno di 1 ora ogni 7 giorni suddivisa in 1 o 2 sessioni.
In allegato interessante studio di coorte della durata di 20 anni a testimonianza dei concetti sopra espressi.
Buona lettura!
L'International Society of Sports Nutrition (ISSN) ha da poco emanato le linee guida, sulla base delle evidenze scientifiche presenti in letteratura, riguardanti gli effetti del tipo di alimentazione sulla composizione corporea, in termini sia di ripartizione dei macronutrienti sia di differenti stili alimentari nel loro complesso.
Buona e proficua lettura!
Ecco a voi il secondo allegato.
Microbiota... microbiota... microbiota. Sempre più ricerche evidenziano l'importanza di possedere un corretto equilibrio a livello del microbiota intestinale per prevenire l'insorgenza di molti disturbi e malattie che vanno dalla sindrome metabolica ai tumori passando per le malattie autoimmuni.
In allegato 2 articoli (qui il primo) sul rapporto tra microbiota e sistema immunitario intestinale e con il sitema endocrino-metabolico.
Buona lettura estiva a tutti!
I benefici dell'attività fisica regolare e costante sono innumerevoli e per buona parte convalidati da tempo da studi e sperimentazioni scientifiche.
Lo studio presente in allegato mette in evidenza come dopo una corsa su medie distanze si abbia nel sangue una riduzione degli acidi biliari potenzialmente più carcinogenetici. L'attività fisica, in questo caso la corsa, è in grado di operare attraverso meccanismi ancora da chiarire, una sorta di pulizia di sostanze e metaboliti potenzialmente tossici per il ns organismo. Se poi all'attività fisica si associa una alimentazione antinfiammatoria e mirati integratori si pongono serie basi per una vita longeva ed esente da patologie cronico-degenerative che vengono favorite invece da un errato stile di vita. Buon movimento a tutti!
Da tempo si sa che la vitamina D è ben oltre che una vitamina, ma bensì un ormone che interagisce con il funzionamento di ogni singola cellula del nostro corpo. Negli sportivi in particolare interviene nei processi di sintesi proteica funzionali al miglioramento della prestazione. In letteratura sempre più studi correlano la sua carenza nell'organismo all'insorgenza di una lunga lista di disturbi che interessano tutti i sistemi dell'organismo, compreso quello nervoso. Soddisfare le richieste di vit D dell'organismo è relativamente semplice ovvero basta esporsi quotidianamente al sole per un breve periodo di tempo in modo tale da permettere la sintesi cutanea della vitamina. Le variazioni climatiche stagionali unitamente alle mutate abitudini comportamentali tipiche del nostro tempo (attività lavorative prevalentemente al chiuso etc.) spesso non permettono che il corpo produca la necessaria quantità di vit D. Inoltre le fonti alimentari della vitamina sono poche e non di facile gradimento al gusto delle persone (olio di fegato di merluzzo, pesci grassi). Per soddisfare le richieste dell'organismo e scongiurare i possibili disturbi da carenza è spesso necessario ricorrere ad un'integrazione esogena della vitamina sulla cui posologia ideale non vi è univoco consenso. Lo studio presentato in allegato, pur effettuato su una popolazione sportiva, offre utili suggerimenti sulla corretta posologia di integrazione della vit D.

Efficacy of High-Dose Vitamin D Supplements for Elite Athletes.
Owens DJ1, Tang JC, Bradley WJ, Sparks AS, Fraser WD, Morton JP, Close GL.
Abstract
PURPOSE:
Supplementation with dietary forms of vitamin D is commonplace in clinical medicine, elite athletic cohorts, and the general population, yet the response of all major vitamin D metabolites to high doses of vitamin D is poorly characterized. We aimed to identify the responses of all major vitamin D metabolites to moderate- and high-dose supplemental vitamin D3.
METHODS:
A repeated-measures design was implemented in which 46 elite professional European athletes were block randomized based on their basal 25[OH]D concentration into two treatment groups. Athletes received either 35,000 or 70,000 IU•wk vitamin D3 for 12 wk, and 42 athletes completed the trial. Blood samples were collected for 18 wk to monitor the response to supplementation and withdrawal from supplementation.
RESULTS:
Both doses led to significant increases in serum 25[OH]D, and 1,25[OH]2D3. 70,000 IU•wk also resulted in a significant increase of the metabolite 24,25[OH]2D at weeks 6 and 12 that persisted after supplementation withdrawal at week 18, despite a marked decrease in 1,25[OH]2D3. Intact parathyroid hormone was decreased in both groups by week 6 and remained suppressed throughout the trial.
CONCLUSIONS:
High-dose vitamin D3 supplementation (70,000 IU•wk) may be detrimental for its intended purposes because of increased 24,25[OH]2D production. Rapid withdrawal from high-dose supplementation may inhibit the bioactivity of 1,25[OH]2D3 as a consequence of sustained increases in 24,25[OH]2D that persist as 25[OH]D and 1,25[OH]2D concentrations decrease. These data imply that lower doses of vitamin D3 ingested frequently may be most appropriate and gradual withdrawal from supplementation as opposed to rapid withdrawal may be favorable.
L'attività fisica riduce l'incidenza di diabete mellito di tipo 2
Livelli elevati di attività fisica nel tempo libero si associano a una minore incidenza di diabete di tipo 2 nella popolazione generale secondo un rapporto curvilineo: i maggiori vantaggi vengono raggiunti già a bassi livelli di attività, ma ulteriori benefici possono essere realizzati svolgendo un esercizio di intensità molto superiori a quella prescritta dalle raccomandazioni di sanità pubblica. Questo è quanto riporta una revisione sistematica della letteratura con metanalisi della relazione dose/risposta appena pubblicata sulla rivista Diabetologia, coautore Andrea D Smith, del Centro per la ricerca sui comportamenti salutari dell'University College di Londra, Regno Unito.

«Una correlazione inversa tra attività fisica e incidenza di diabete di tipo 2 è ben nota, ma la forma della relazione dose-risposta è ancora incerta» scrivono i ricercatori, che in una metanalisi hanno valutato i risultati degli studi longitudinali sull'argomento finora svolti sulla popolazione generale. «Una ricerca sistematica della letteratura scientifica corrente ci ha permesso di selezionare 28 studi prospettici su livelli elevati di attività fisica o attività fisica totale e rischio di diabete di tipo 2» riprende il ricercatore, che assieme ai colleghi ha tradotto i livelli di attività fisica in equivalenti metabolici (Met) settimanali, osservando una relazione non lineare tra attività fisica e diabete di tipo 2.

In altri termini, l'analisi statistica evidenzia una riduzione del rischio di diabete di tipo 2 del 26% tra coloro che hanno raggiunto 11,25 Met, equivalenti a 150 minuti/settimana di attività moderata, rispetto agli individui inattivi. Ma non solo: il raddoppio dell'intensità dell'attività fisica era legato a una riduzione del rischio di diabete di tipo 2 del 36%, con un'ulteriore calo dell'eccesso di rischio pari al 53% nei partecipanti che raggiungevano un'intensità di esercizio fisico di 60 Met la settimana. «Questa metanalisi supporta in pieno la nozione generalmente accettata di una stretta correlazione inversa tra attività fisica, anche moderata, e rischio di diabete e, data l'attuale epidemia di obesità e diabete, conferma l'utilità dell'esercizio fisico rispetto ad altre strategie per migliorare la salute pubblica» conclude Smith.

Diabetologia. 2016.doi:10.1007/s00125-016-4079-0
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/27747395

Commento personale: è indubbio ed oramai dimostrato da vari studi che l'esercizio fisico è e deve essere una parte integrante nella gestione della malattia diabetica. La mia esperienza personale mi porta però a constatare che oggi giorno il tempo che la maggior parte delle persone riesce a dedicare ad un'attività fisica se non sportiva è poco e saltuario. Ricordo sempre ai miei pz che se andare in palestra o a correre è un impegno che non sempre può essere rispettato (ma comunque consigliato e promosso) in modo costante per avere risultati, c'è un atto abituale che tutti compiamo almeno 3 volte al giorno da quando nasciamo a quando moriamo ossia mangiare. Il diabete, specialmente quello di tipo 2, si combatte principalmente a tavola e l'attività fisica è indubbiamente un valido alleato per il raggiungimento di un migliore stato di salute.
La Zona prevede il consumo ad ogni pasto e spuntino di una certa quantità di proteine magre unitamente ai carboidrati ed ai grassi. Le proteine favoriscono il senso di sazietà determinando il rilascio di specifici ormoni intestinali e ritardano insieme ai grassi l'assorbimento dei carboidrati riducendo i picchi glicemici e di insulina post prandiali. Se il fenomeno è importante nei soggetti normali esso assume ancora più valore nei soggetti diabetici nei quali l'iperglicemia cronica non controllata è la principale causa di progressione della malattia.
Recentemente è stato pubblicato uno studio (in allegato) nel quale sono stati studiati i valori della glicemia e dell'insulina in seguito ad un pasto composto da proteine, grassi e carboidrati consumato in 2 distinte occasioni nel corso delle quali è stato invertito l'ordine di assunzione dei macronutrienti: nella prima occasione sono stati assunti prima i carboidrati ed in seguito le proteine ed i grassi mentre nella seconda occasione è stata invertita la sequenza. I dati ottenuti hanno rilevato che i picchi glicemici ed insulinemici erano più bassi quando l'assunzione di proteine e grassi precedeva quella di carboidrati. Analoga esperienza e risultati sono stati ottenuti da uno studio condotto dall'Università di Pisa (dati presentati al Congresso della Società Italiana di Diabetologia nel 2016). Sebbene questi studi siano stati condotti su piccoli numeri è indubbio che aprono nuove prospettive ed indicazioni riguardo al come si debba mangiare per favorire un ottimale stato di salute.
Concetti che la Zona promuove da oltre 20 anni.
"Tutte le malattie hanno origine nelll'intestino" recitava Ippocrate oltre 2000 anni fa e tale affermazione, alla luce delle scoperte scientifiche attuali, assume un significato fortemente profetico e lungimirante per colui che l'ha espressa. La scienza moderna sta sempre più scoprendo l'importanza di quel microcosmo vitale contenuto nell'intestino di ogni essere umano e la sua importanza nel favorire il benessere generale dell'organismo o al contrario creare le basi per allo sviluppo di patologie infiammatorie croniche come il diabete, l'obesità, il cancro etc...
La composizione del microbioma intestinale è in funzione dello stile di vita di ogni individuo nel cui contesto le abitudini alimentari svolgono un ruolo di primaria importanza. Lo studio presentato in allegato, seppure condotto su piccoli numeri, dimostra che è possibile modificare la composizione della flora batterica intestinale anche dopo pochi giorni di cambiamento delle abitudini alimentari. Come è possibile regolare ad ogni singolo pasto l'omeostasi glicemica ed ormonale associando tra loro i macronutrienti (Zona docet) così è possibile scegliere a quali batteri concedere "il diritto di soggiorno" nel nostro intestino. Cerchiamo quindi di tenerlo a mente la prossima volta che ci sediamo a tavola per mangiare.
Il ferro è un minerale molto importante per l'organismo umano in quanto svolge numerose funzioni vitali tra le quali la più conosciuta è di essere parte costitutiva dell'emoglobina che serve a trasportare l'ossigeno ai muscoli ed ai tessuti. Il ferro inoltre è componente di molti sistemi enzimatici, è presente nelle unghie e nei capelli, nelle proteine muscolari actina e miosina. L'assorbimento del ferro a livello intestinale varia a seconda delle esigenze dell'organismo essendo l'apparato digerente in grado di incrementare l'assorbimento del minerale sino a 20 volte in caso di necessità.
L'articolo allegato offre una approfondita panoramica circa l'assorbimento del ferro nel contesto di una normale alimentazione quotidiana.
Molte persone svolgono attività fisica nella speranza di perdere il peso in eccesso o tanto quanto per non accumularne altro. Questi ultimi sono i soggetti che candidamente affermano che fanno sport per poter mangiare di più. Dal punto di vista ponderale non otterranno sicuramente dei risultati significativi, ma anche per loro ci saranno dei sicuri vantaggi dal punto di vista metabolico in grado di ridurre il rischio futuro di complicanze cardiovascolari. La pratica regolare e costante di un'attività fisica, anche se non accompagnata da una riduzione del peso, è in grado infatti di migliorare la sensibilità dei tessuti, soprattutto muscolari ed epatici, all'azione dell'insulina ossia l'ormone responsabile della gestione in primis dei carboidrati introdotti con la dieta e di ridurre il pericoloso grasso viscerale. Controllare nel tempo i livelli di grasso viscerale ed i livelli di insulina permette di ridurre il livello di infiammazione cellulare silente la quale è alla base dell'insorgenza di tutte le principali patologie croniche dei nostri tempi. Basta fare esercizio fisico per controbilanciare comportamenti alimentari poco salutari? Non sicuramente, ma il non farla aggiunge come si suol dire pericolosa benzina al fuoco dell'infiammazione.
In allegato
Is weight loss the optimal target for obesity-related
cardiovascular disease risk reduction?
Robert Ross PhD1,2, Peter M Janiszewski MSc1
"Eat less, move more" ovvero mangia meno e muoviti di piu'. Recita cosi' un consolidato mantra nel campo della dietologia che ancora oggi regna sovrano. L'idea eradicata che per dimagrire si debba bruciare più calorie con l'attività fisica ed al contempo introdurne di meno con l'alimentazione per creare un bilancio calorico negativo appartiene alla preistoria della scienza della nutrizione. Oggi si tende a non ragionare più in termini di calorie, ma bensì di ormoni e dell'effetto che i macronutrienti dei cibi hanno su di essi. Insulina, glucagone & co. hanno soppiantato come argomento di conversazione tra gli sportivi le odiate calorie che più si addicono alla valutazione della resa energetica di una stufa a legna piuttosto che ad una meravigliosa macchina biochimica qual'è quella umana. Fare attività fisica ha tuttavia un innumerevole serie di effetti positivi sull'organismo umano sia di ordine preventivo che terapeutico: non c'è organo od apparato che non tragga benefici dalla pratica regolare e costante di un'attività fisica. Tuttavia se vogliamo dimagrire fare attività fisica da sola serve a poco se non si modificanio le proprie abitudini alimentari. Continuare a nutrirsi con alimenti ipercalorici stile fast food porta ad introdurre una quantità di calorie che non viene bilanciata dalla quantità di movimento che un soggetto - atleti professionisti a parte - può compiere nell'arco di una settimana lavorativa.
A questa conclusione è giunto recentemente tra gli altri il Prof Aaron E. Carrol della Facoltà di Medicina dell'Università dell'Indiana (di seguito l'articolo apparso sul New York Times il 15 giugno 2015)
Da un certo punto di vista è come parlare degli effetti del fumo di sigaretta laddove tutti sanno che fa male alla salute - è scritto in caratteri cubitali sui pacchetti - tuttavia smettere è alquanto difficile. Il potere attraente del cibo va oltre il suo contenuto calorico e va ricercato nella sua capacità di influenzare l'assetto neuroendocrino dell'organismo attraverso gli ormoni.
Facciamo quindi attività fisica, ma facciamo molta attenzione a quello che mangiamo.
Alla prossima
Dr. Toselli Gianluca

The New Health Care
To Lose Weight, Eating Less Is Far More Important Than Exercising More
By AARON E. CARROLL

One of my family's favorite shows is The Biggest Loser. Although some viewers don't appreciate how it pushes people so hard to lose weight, the show probably inspires some overweight people to regain control of their lives.

But one of the most frustrating parts of the show, at least for me, is its overwhelming emphasis on exercise. Because when it comes to reaching a healthy weight, what you don't eat is much, much more important.

Think about it this way: If an overweight man is consuming 1,000 more calories than he is burning and wants to be in energy balance, he can do it by exercising. But exercise consumes far fewer calories than many people think. Thirty minutes of jogging or swimming laps might burn off 350 calories. Many people, fat or fit, can't keep up a strenuous 30-minute exercise regimen, day in and day out. They might exercise a few times a week, if that.
Or they could achieve the same calorie reduction by eliminating two 16-ounce sodas each day.
Proclamations that people need to be more active are ubiquitous in the media. The importance of exercise for proper weight management is reinforced when people bemoan the loss of gym class in schools as a cause of the obesity epidemic. Michelle Obama's Let's Move program places the focus on exercise as a critical component in combating excess weight and obesity.
Exercise has many benefits, but there are problems with relying on it to control weight. First, it's just not true that Americans, in general, aren't listening to calls for more activity. From 2001 to 2009, the percentage of people who were sufficiently physically active increased. But so did the percentage of Americans who were obese. The former did not prevent the latter.
Studies confirm this finding. A 2011 meta-analysis, a study of studies, looked at the relationship between physical activity and fat mass in children, and found that being active is probably not the key determinant in whether a child is at an unhealthy weight. In the adult population, interventional studies have difficulty showing that a physically active person is less likely to gain excess weight than a sedentary person. Further, studies of energy balance, and there are many of them, show that total energy expenditure and physical activity levels in developing and industrialized countries are similar, making activity and exercise unlikely to be the cause of differing obesity rates.
Moreover, exercise increases one's appetite. After all, when you burn off calories being active, your body will often signal you to replace them. Research confirms this. A 2012 systematic review of studies that looked at how people complied with exercise programs showed that over time, people wound up burning less energy with exercise than predicted and also increasing their caloric intake.
Other metabolic changes can negate the expected weight loss benefits of exercise over the long term. When you lose weight, metabolism often slows. Many people believe that exercise can counter or even reverse that trend. Research, however, shows that the resting metabolic rate in all dieters slows significantly, regardless of whether they exercise. This is why weight loss, which might seem easy when you start, becomes harder over time.
This isn't to say that exercise plays no role. There are many studies that show that adding exercise to diets can be beneficial. A 1999 review identified three key meta-analyses and other randomized controlled trials that found statistically significant, but overall small, increases in weight loss with exercise.
A meta-analysis published last year found that, in the long term, behavioral weight management programs that combine exercise with diet can lead to more sustained weight loss (three to four pounds) over a year than diet alone. Over a six-month period, though, adding exercise made no difference. Another systematic review from last fall found similar results, with diet plus exercise performing better than diet alone, but without much of an absolute difference.
All of these interventions included dietary changes, and the added weight-loss benefit from activity was small. Far too many people, though, can manage to find an hour or more in their day to drive to the gym, exercise and then clean up afterward but complain that there's just no time to cook or prepare a healthful, home-cooked meal. If they would spend just half the time they do exercising trying to make a difference in the kitchen, they'd most likely see much better results.
Many people think of dieting as a drastic and rigid change, with a high risk of putting the pounds back on. What is more likely to succeed is gradual change, made in a much more sustainable way. I also don't mean to make it seem that weight loss with diet is easy and exercise is hard. They're both hard. The challenge of a slowing metabolism, and the desire to eat more, occurs in both cases, although dietary change still works better than exercise.
But I can't say this enough: Exercise has a big upside for health beyond potential weight loss. Many studies and reviews detail how physical activity can improve outcomes in musculoskeletal disorders, cardiovascular disease, diabetes, pulmonary diseases, neurological diseases and depression. The Academy of Medical Royal Colleges declared it a miracle cure recently, and while I'm usually loath to use that term for anything in medicine, a fairly large evidence base corroborates that exercise improves outcomes in many domains.
But that huge upside doesn't seem to necessarily apply to weight loss. The data just don't support it. Unfortunately, exercise seems to excite us much more than eating less does. After all, as a friend said to me recently, The Biggest Loser would be really boring if it were shot after shot of contestants just not overeating.

Aaron E. Carroll is a professor of pediatrics at Indiana University School of Medicine. He blogs on health research and policy at The Incidental Economist, and you can follow him on Twitter at @aaronecarroll.
Le raccomandazioni e le Linee Guida volte al raggiungimento di un ottimale stato di salute si basano generalmente sul miglioramento dell'efficenza dell'apparato cardiocircolatorio. Non bisogna tuttavia dimenticare l'importanza di mantenere nel tempo la massa e la forza della muscolatura scheletrica la quale rappresenta nei giovani adulti il 30% del peso corporeo. Il muscolo non svolge infatti unicamente funzioni di sostengno e di tipo meccanico dell'impalcatura scheletrica del corpo, ma possiede peculiari caratteristiche metaboliche il cui allenamento costante permette il miglioramento se non la prevenzione di vari disordini metabolici tra cui l'intolleranza agli zuccheri fino al diabete e le dislipidemie.
Le indicazioni circa le modalità di allenamento muscolare sono state nel passato spesso generalizzate e non sempre supportate da evidenze scientifiche, ivi incluse quelle dettate dall'American College of Sports Medicine (ACSM).
Il presente articolo propone delle linee guida sull'allenamento muscolare basandosi sulle evidenze scientiche attualmente presenti in letteratura.
Buon allenamento a tutti!
Esistono 2 tipi di grasso corporeo: il grasso sottocutaneo ed il grasso viscerale. Il primo è antiestetico, soprattutto nel sesso femminile, con localizzazione preferenziale a livello di fianchi e cosce, ma sostanzialmente innocuo per la salute dell'organismo. Il secondo invece è metabolicamente attivo, localizzato soprattutto a livello addominale ed attorno ai visceri ed è in grado di secernere sostanze che infiammano le cellule favorendo l'insorgenza di varie patologie cronico-degenerative. L'esercizio fisico, se effettuato secondo il giusto grado di intensità e durata, è in grado di ridurre la componente del grasso viscerale a prescindere dall'adozione di una dieta ipocalorica.
Nell'articolo allegato è presentata una metanalisi ed una revisione sistematica degli studi sperimentali in merito alla riduzione del grasso viscerale mediante esercizio fisico.
Non esista età nella vita di una persona che non si giovi di un corretto ed adeguato apporto di proteine. L'anziano spesso ha un alimentazione (ed un'idratazione) insufficiente ed inadeguata alle reali necessità dell'organismo. La presenza di patologie croniche aumenta inoltre il fabbisogno proteico giornaliero al pari della costante pratica di attività fisiche e/o sportive intense.
L'articolo in allegato riporta le attuali indicazioni in merito stilate dall'ESPEN (EuropeanSociety for Clinical Nutrition and Metabolism).
Verrebbe da dire ... proteine: la giusta soluzione per ogni età!
In letteratura sono sempre più numerosi gli studi che dimostrano l'importanza del giusto apporto di proteine nella dieta per il mantenimento di un ottimale stato di salute. I dosaggi raccomandati dalle linee guida rappresentano il quantitativo minimo per non incorrere in sindromi da carenza , ma non rispecchiano necessariamente le reali necessità dell'organismo soprattutto nei soggetti attivi fisicamente.
L'articolo allegato riporta la revisione della letteratura attuale sul corretto uso quantitativo delle proteine alimentari nella dieta ed il suo ruolo preventivo su molte delle patologie che affliggono l'uomo moderno ivi incluso il mantenimento di un corretto peso corporeo.
Un nuovo studio che dimostra l'efficacia, anche a breve termine, di un'alimentazione priva di alimenti pre-agricoltura (cereali, legumi e latticini) sul miglioramento dei parametri metabolici di soggetti affetti da diabete tipo 2.

Metabolic and physiologic effects from consuming a hunter-gatherer (Paleolithic)-type diet in type 2 diabetes

U Masharani, P Sherchan, M Schloetter, S Stratford, A Xiao, A Sebastian, M Nolte Kennedy and L Frassetto
Abstract

Background/Objectives:

The contemporary American diet figures centrally in the pathogenesis of numerous chronic diseases 'diseases of civilization' such as obesity and diabetes. We investigated in type 2 diabetes whether a diet similar to that consumed by our pre-agricultural hunter-gatherer ancestors ('Paleolithic' type diet) confers health benefits.

Subjects/Methods:

We performed an outpatient, metabolically controlled diet study in type 2 diabetes patients. We compared the findings in 14 participants consuming a Paleo diet comprising lean meat, fruits, vegetables and nuts, and excluding added salt, and non-Paleolithic-type foods comprising cereal grains, dairy or legumes, with 10 participants on a diet based on recommendations by the American Diabetes Association (ADA) containing moderate salt intake, low-fat dairy, whole grains and legumes. There were three ramp-up diets for 7 days, then 14 days of the test diet. Outcomes included the following: mean arterial blood pressure; 24-h urine electrolytes; hemoglobin A1c and fructosamine levels; insulin resistance by euglycemic hyperinsulinemic clamp and lipid levels.

Results:

Both groups had improvements in metabolic measures, but the Paleo diet group had greater benefits on glucose control and lipid profiles. Also, on the Paleo diet, the most insulin-resistant subjects had a significant improvement in insulin sensitivity (r=0.40, P=0.02), but no such effect was seen in the most insulin-resistant subjects on the ADA diet (r= 0.39, P=0.3).

Conclusions:

Even short-term consumption of a Paleolithic-type diet improved glucose control and lipid profiles in people with type 2 diabetes compared with a conventional diet containing moderate salt intake, low-fat dairy, whole grains and legumes.

La scienza da tempo ci dice che nei geni c'è scritto il nostro passato, il nostro presente e il nostro futuro. La mutazione dei geni avviene con molta lentezza. Occorrono dai 20.000 ai 30.000 anni affinchè si abbia una mutazione genetica stabile, duratura e trasmissibile alle future generazioni. Ecco perchè l'uomo moderno si ammala e muore di patologie che fino ad 1 secolo fa erano quasi sconosciute. Le malattie cardiovascolari, l'ipertensione, le malattie autoimmuni, il diabete, le allergie rappresentano il risultato della discordanza tra lo stile di vita attuale ed il patrimonio genetico frutto di milioni di anni di evoluzione. Se però i geni mutano con molta lentezza, la loro espressione e regolazione avviene molto più rapidamente. Alimentazione ed attività fisica sono i principali fattori in grado di modulare l'espressione dei geni. Sono oramai numerosi i lavori che testimoniano il miglioramento delle suddette patologie adottando una strategia alimentare basata sul modello Paleolitico. Analogamente stanno emergendo ipotesi di studio ed esempi sul campo che dimostrerebbero come anche la prestazione sportiva può essere migliorata basandosi su modelli di allenamento che rispecchiano i patterns di movimento dei ns predecessori del paleolitico. Come per l'alimentazione, tuttavia, penso ci si dovrà scontrare per diverso tempo con l'ostruzionismo derivante da dogmi e metodologie eradicate nell'opinione comune.
Il diabete, come è ben noto, è una malattia causata da una incapacità per lo più acquisita dell'organismo di gestire i livelli glicemici presenti nel sangue sia a digiuno che in seguito ad un pasto. Essendo i carboidrati i principali macronutrienti responsabili dell'innalzamento della glicemia dopo i pasti, la logica direbbe che per limitare il rialzo glicemico basterebbe limitare l'apporto dei carboidrati assunti. Tutto ciò però pare non essere mai stato preso in seria considerazione da parte del mondo scientifico e degli addetti al settore che si sono sempre basati sull'errata convinzione che i carboidrati debbano rappresentare la principale fonte di energia dell'organismo. In realtà nel corso dell'evoluzione umana i carboidrati hanno sempre rappresentato un nutriente di difficile reperimento sicchè la stabilità glicemica può essere tranquillamente ottenuta attraverso fini meccanismi omeostatici rendendo necessario solamente l'apporto di un minimo apporto di carboidrati dagli alimenti.
Recentemente in letteratura sono stati pubblicati numerosi studi che dimostrano l'efficacia di regimi dietetici a basso tenore di carboidrati nella gestione del diabete mellito e delle sue complicanze. La review che viene presentata è stata scritta insieme da importanti esponenti della diabetologia e della nutrizione statunitensi, svedesi, canadesi, danesi, britannici e tedeschi pubblicato su Nutrition nel Luglio del 2014, nel quale si presenta la dieta a basso livello di carboidrati come il primo, più sicuro e più efficace approccio nutrizionale per il trattamento del diabete e delle sue complicanze.
Con il bene placito dell'industria del cereale speriamo che questo rappresenti l'inizio di un giusto e razionale approccio ad un problema sanitario che rischia tra pochi decenni di far collassare i sistemi sanitari di tutto l mondo.
Le RDA rappresentano linee guida che definiscono gli apporti minimi di macro (proteine, carboidrati e grassi) e micronutrienti (vitamine e minerali) necessarie per non incorrere in carenze e nelle patologie ad esse correlate. Ciò che non dicono le RDA è come può cambiare l'utilizzazione da parte dell'organismo di tali sostanze modulandone l'assunzione nel corso della giornata alimentare. Il fatto è particolarmente evidente per le proteine laddove il maggior apporto giornaliero avviene generalmente con il pasto serale per motivazioni di ordine pratico ed abitudinario.
Diversi studi, il presente è uno di questi, hanno dimostrato che l'utilizzazione proteica e la conseguente sintesi di proteine è migliore se l'apporto è distribuito in pari quantità nei 3 pasti quotidiani. Per le abitudini dell'italiano medio soprattutto la colazione risulta essere uno scoglio spesso difficile da superare essendo spesso costituita, laddove addiritttura non consumata, da alimenti ricchi di carboidrati raffinati e zuccheri con scarsa presenza di proteine. La presenza delle proteine insieme a carboidrati e grassi (come dice la Zona) aumenta la qualità nutrizionale del pasto, induce maggiore sazietà e permette di avere livelli di energia più stabili nelle ore successive.
" Moderazione, equilibrio e varietà dei cibi " . Sono i concetti base della Zona, ma è anche quello che ci diceva sempre nostra nonna.

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